Calcio: un anno dopo il dolore resta vivo
Calcio – ci sono calciatori che escono di scena così come vi sono entrati, in sordina, senza lasciare un ricordo indelebile di essi. Altri invece restano negli annali di un club per trofei vinti e record stabiliti, poi c’è Sinisa Mihajlovic.
Bari, 1991, un giovane Sinisa, agli albori di una carriera costellata di successi, alza al cielo la Coppa dei Campioni davanti all’Olympique Marsiglia. Nel mentre sulla sponda opposta del mare Adriatico, a Borovo, sua città natale, implodeva la guerra che nel 2003 portò alla fine dell’ex Jugoslavia: “Con la guerra non esistevano più i legami familiari. Un mio cugino voleva buttare una bomba in casa, mentre mio padre stava guardando in tv la Stella Rossa di Belgrado. Si fermò solo perché in casa c’era anche suo fratello insieme a mio papà“.
Mihajlovic scampo’ alla battaglia, trovando proprio in quella nazione che lo ha consacrato sul tetto d’Europa, una nuova casa e l’opportunità di costruire una seconda vita. L’avventura in Italia inizia nel 1993, a Roma sponda giallorossa. L’esperienza dura appena due anni e non lascia buoni ricordi al difensore serbo che nel 1995 si trasferisce alla Sampdoria. In blucerchiato incontra Eriksson, Mancini e Veron che poi il destino riporterà a lui nell’esperienza alla Lazio, che gli cambierà la vita.
Sinisa Mihajlovic vede nella Lazio l’ideale per cui spendere ogni singola goccia di sudore. L’amore a prima vista lo lega indissolubilmente ai colori biancocelesti che farà suoi per il resto dei giorni: “Io tifo Lazio. Probabilmente è l’unica squadra contro cui se dovessi perdere, non mi roderebbe“.
6 anni, 193 partite e 33 gol sono il resoconto della sua avventura laziale, da cui si separerà solo fisicamente nel 2004. Da lì in poi Mihajlovic seguirà i suoi due amici Dejan Stankovic e Roberto Mancini a Milano, sponda Inter.
Da allenatore Sinisa ha trovato la sua dimensione nel Bologna dopo le esperienze con Catania, Milan, Inter e Torino ma il sogno, accarezzato nel 2021 dopo l’addio di Inzaghi, era quello di allenare la sua Lazio. La leucemia glielo ha portato via in una fredda giornata di dicembre, spezzando le speranze di chi lo credeva invulnerabile e più forte di una malattia che lascia poco spazio ai legami e alle emozioni.
Un anno dopo tutto è rimasto uguale, la sensazione che Mihajlovic sia ancora tra noi è tangibile, il tempo attenua il dolore ma non cancella i ricordi. La palla è ferma sui 25 metri, la lunga rincorsa, le mani sui fianchi, la Curva Nord canta ancora: “Se tira Sinisa è gol“.