Riccardo Cucchi a Lazio Live TV: “Pedro è un miracolo e su Lotito…”

by Patrizio Trecca
0 comments Riccardo Cucchi | Foto: profilo X Riccardo Cucchi

Esclusiva Lazio Live Tv: Cucchi e un altro calcio

Classe ’52, grande giornalista e scrittore, nonché fedelissimo tifoso biancoceleste, Riccardo Cucchi è stato raggiunto dai nostri microfoni per parlare della Lazio di oggi, dei fasti del passato e di come il calcio abbia fatto ( e possa ancora fare) la differenza – negativa o positiva – in molti casi. Un altro calcio è ancora possibile (2023) è proprio il titolo del suo ultimo libro, opera che tra i tanti temi affrontati racchiude tra le sue righe anche i valori fondamentali della lazialità.

Nel 2000 la tua voce è stata diffusa allo stadio Olimpico mentre attendevamo tutti il fischio finale di Perugia-Juventus, nel 2017 hai commentato la tua ultima partita e hai potuto dedicarti “a tempo pieno” alla Lazio. Per te tifare è compiere un atto d’amore irrazionale, irrazionale come ogni tipo d’amore: come è nata la tua fede laziale e chi è il Cucchi tifoso?

La mia fede laziale è nata quando avevo sei anni, sono stato attratto irrimediabilmente da uno scudetto della Lazio, di quelli che in quegli anni si vendevano nelle tabaccherie e che si inserivano nell’occhiello della giacca e quello scudetto con le strisce bianco-celeste, con quell’aquila dorata che campeggiava, mi conquistò. Mio papà, tifoso del Torino, vide il mio sguardo innamorato nei confronti di quello scudetto e mi chiese se lo volevo.  Io dissi di sì, e da quel momento sono diventato laziale. Papà sperava forse che diventassi tifoso granata, ma in realtà il mio istinto è stato quello di innamorarmi della Lazio. Come diceva Felice Pulici: non sei tu che scegli la Lazio, è la Lazio che ti sceglie“.

A proposito di questo tuo lato da tifoso,  come sei riuscito a scindere il professionista dal tifoso, soprattutto in avvenimenti come la cronaca di Perugia-Juve, per esempio?

Ma forse può sembrare strano oggi, però quando io cominciai insieme ai grandi di quel tempo come Ciotti, Ameri e Zavoli, che è stato uno dei principali interlocutori sul piano della mia formazione, era del tutto normale, era obbligatorio che i radiocronisti e i telecronisti raccontassero ciò che vedevano sotto i loro occhi con un’assoluta imparzialità. Era la prima regola che ti veniva insegnata, era il servizio pubblico, era la RAI, la RAI di tutti, che raccontava le passioni calcistiche di tutti i tifosi italiani. Era un obbligo etico, professionale, al quale siamo stati abituati grazie all’allenamento che ci imponevano i nostri maestri. Non c’era possibilità di fare una cosa diversa. Nessun radiocronista, nessun telecronista di quegli anni avrebbe mai manifestato pubblicamente la sua passione per una squadra. Tutti avevano una squadra del cuore, ma soltanto quando hanno smesso di lavorare si è saputo. Per esempio, di quale squadra fosse Paolo Valenti,  ideatore e  grande conduttore di Novantesimo Minuto, nessuno lo sapeva. Prima  che smettesse di lavorare  nessuno sapeva fosse della Fiorentina. E così, naturalmente, è valso anche per me. Era un obbligo, rispettare gli ascoltatori significava assolutamente essere imparziali“.

Infatti tu nel 2017 hai dichiarato apertamente la tua fede laziale, se non sbaglio…

Mi hanno chiesto per 40 anni, tutti i tifosi che mi incontravano fuori dagli stadi, quale fosse e se ci fosse una mia squadra del cuore. Io rispondevo a tutti inesorabilmente: ‘se ce n’è una, lo saprete soltanto quando avrò smesso di lavorare‘. Quindi puoi immaginare cosa sia successo dentro di me quel giorno, il 14 maggio del 2000. Sai, si è chiuso un cerchio. Io da tifoso della Lazio, da ragazzo di Curva, perché mi definisco così ancora oggi, avevo vissuto lo scudetto del 1974 in Curva Nord, con Ameri in radio incollato all’orecchio che raccontava il calcio di rigore di Chinaglia. Ho gridato insieme ai miei amici, abbiamo esultato tutti insieme per quello scudetto. Nel mio cuore, nella mia fantasia, nasceva un desiderio, un desiderio che peraltro ho coltivato fin da quando ero bambino. Mi sarebbe piaciuto fare il lavoro di Enrico Ameri e dentro di me pensavo ‘che bello sarebbe se ci riuscissi e magari anche a me capitasse l’occasione di dire Lazio campione d’Italia’. Ebbene, quel 14 maggio è successo, si è chiuso un cerchio, il ragazzo tifoso di Curva era diventato il giornalista che finalmente poteva gridare Lazio campione d’Italia. Ma sempre, sempre, tenendo presente che in quel momento, mentre raccontavo le fasi finali di Perugia-Juventus, io dovevo anche considerare la grande tristezza dei tifosi juventini che lo stavano perdendo. Rispettando la gioia di chi stava esultando e naturalmente la delusione di chi stava perdendo. Quando il tecnico chiuse il microfono, allora soltanto, in quel momento, mi lasciai andare in un pianto pieno di commozione che il tecnico di Perugia rispettò silenziosamente”.

A proposito di Lazio attuale invece, i biancocelesti arrivano da una serie importante di vittorie e al rientro dalla sosta ci aspetta proprio la Juventus. Vedi una Lazio diversa?

Fabiani Lazio

Marco Baroni: profilo X @OfficialSSLazio

Sono entusiasta di questa Lazio, sono entusiasta davvero, mi sto divertendo tantissimo. Si è rinnovata la voglia di correre allo stadio a vederla, non che non ne avessi naturalmente negli anni passati, ma devo dire che in alcuni momenti eravamo un po’ stanchi di un tipo di Lazio che spesso si smarriva, che perdeva la concentrazione, che non sembrava così agonisticamente concentrata. Invece vedo in questa Lazio di Baroni dopo appena sette giornate, (per carità è ancora molto presto) vedo una squadra piena di motivazione, una squadra che non molla mai, che lotta per 90 minuti, che entra in campo per vincere. Ci può riuscire o no, ma ci prova. E questa determinazione, questa concentrazione che si prolunga per 90 minuti, devo dire la verità, era un po’ che non la vedevo. Mi pare di cogliere uno spirito nuovo all’interno del gruppo, senza voler fare paragoni che non sono assolutamente possibili in questo momento e forse mai, però mi pare di cogliere quello spirito e parlo di spirito, non di forza, né di valori tecnici, di quella Lazio che Maestrelli disegnò all’inizio degli anni 70, quando arrivò a Roma. C’era quello spirito. Era tanto tempo che non vedevo una squadra così combattiva e devo dire che, inevitabilmente, vedere questa squadra che si muove con tanta voglia sul campo mi porta da tifoso a ricordare certi momenti di quella Lazio di Maestrelli. Certamente, ripeto, questo non vuol dire che la Lazio di Baroni possa vincere lo Scudetto, vorrei essere chiaro su questo.  Se fai il confronto tra la formazione scelta contro il Nizza e quella scelta contro l’Empoli, ti renderai conto che ha rinnovato quasi completamente la squadra a parte due o tre giocatori e questo significa che tutti si sentono coinvolti”. 

Prova ne sia Pedro, ad esempio, che continua a subentrare e a risolvere le partite…

Pedro è un miracolo calcistico. Credo che Baroni abbia detto una cosa splendida in conferenza stampa, lo ha detto a tutti: i più giovani dovrebbero imparare da Pedro persino quando si allaccia le scarpe. Questo ragazzo di 37 anni che io conosco benissimo, perché ho raccontato Pedro quando giocava in Nazionale Spagnola, quando ha vinto il titolo mondiale, quando ha vinto i due titoli europei, quando ha giocato nel Barcellona, lo ricordo benissimo. Un giocatore di cui ero fortemente innamorato, perché chi ama il calcio non può non innamorarsi di Pedro e devo dire che a 37 anni vederlo con quello smalto, con quella straordinaria capacità del gesto tecnico che gli viene naturale, è qualcosa che naturalmente ci fa innamorare di lui. Rafforza il nostro amore per il calcio”.

In uno dei tuoi ultimi tweet, proprio a proposito di Lazio-Empoli, hai detto che è stata una vittoria della squadra e soprattutto di Baroni. Quindi mi chiedo cosa sia riuscito a trasmettere in più Baroni, rispetto anche a un Sarri, che comunque è un grandissimo allenatore, un grande uomo. Sembra che Baroni sia riuscito, almeno per ora,  a trasmettere qualcosa che si era veramente perso. Non so se questo si possa riferire ai giocatori che sono partiti in estate o meno. Tu che ne pensi?

“Ma guarda, io sono un grande estimatore di Sarri, non puoi capire quanto fossi felice per il suo ingaggio, quindi grande rispetto, grande ammirazione per Sarri, che avrei voluto davvero potesse continuare la sua avventura sulla panchina della Lazio. Credo che purtroppo sia successo qualcosa, ed è quello che probabilmente non ha fatto funzionare la Lazio come Sarri avrebbe voluto. Probabilmente i giocatori che aveva a disposizione non erano adatti al suo gioco, alla sua filosofia di gioco, la Lazio che aveva a disposizione era molto diversa per caratteristiche individuali, per caratteristiche tecniche, da quel Napoli meraviglioso del quale tutti ci siamo innamorati. Credo che probabilmente questa mancanza di sintonia tra le idee di Sarri e le capacità dei giocatori che aveva a disposizione, questa mancanza di sintonia ha provocato probabilmente tutto quello che sappiamo“.

Quindi Baroni è diverso…

Baroni è una persona di grande umiltà, di grande semplicità ed è un tecnico secondo me molto sottovalutato, che però ha fatto della sua esperienza calcistica grande tesoro. Baroni è uno che non sposa una filosofia precostituita, è uno che non ha un modulo precostituito, è uno che gioca, e lo ha dimostrato con il Verona, cambiando ben quattro moduli nel corso della stagione. Inoltre è uno che cerca di capire le caratteristiche dei suoi calciatori adattando la sua idea di calcio a quello che ha a disposizione. E questo è un punto fondamentale, i giocatori si sentono coinvolti perché vengono rispettati nei loro desideri, si mettono a disposizione della squadra perché sanno di essere valorizzati rispetto a quello che sanno fare, non vengono forzati a fare qualcosa che non sono capaci di fare, o che non sentono. Da questo punto di vista Baroni è uno che sente il gruppo, lo capisce, lo fa giocare, secondo quelle che sono le caratteristiche di ogni singolo giocatore, questo secondo me è importantissimo, ma soprattutto ha quella umiltà, quella semplicità che lo rende subito simpatico ai calciatori. C’è un’empatia immediata che si è creata anche a Formello tra lui e i suoi ragazzi, che naturalmente rappresenta un valore straordinario. A questo dobbiamo aggiungere che nella campagna questi sessioni sono arrivati dei giocatori nuovi, c’è stata una rifondazione, assolutamente un profondo rinnovamento che ha portato però calciatori più o meno giovani, alcuni addirittura molto giovani, che hanno voglia di emergere. Hanno anche capito che questa occasione, con un tecnico come Baroni, molto sensibile, attento e di grande umanità, non va sprecata. Credo che questo sia uno degli elementi chiave per il momento del rendimento della squadra”.

Baroni incentiva l’entusiasmo ma riesce allo stesso tempo a tenerlo sotto controllo. Credo sia anche una persona con i piedi per terra, il che non guasta…

“Un uomo maturo, di 60 anni, che vuole cogliere un’occasione che finalmente gli è arrivata. Ha sempre allenato squadre che erano destinate a salvarsi, adesso ha invece a disposizione una squadra, una piazza, che potrebbe aspirare a qualcosina di più. Certamente per lui è una grande occasione. Sono convinto che si stiano accorgendo in molti del valore di questo tecnico, anche le grandi squadre. Come si stanno accorgendo in molti del valore di due giocatori in particolare che sono arrivati quest’anno è che secondo me sono stati poco considerati. Le grandi società sono state distratte: mi riferisco a Dia, che secondo me è una attaccante di razza e ovviamente a Nuno Tavares. Forse è forse il miglior terzino di questa fase iniziale del campionato di tutta la Serie A.  Io non vedevo cross così belli non so più da quanti anni. Tavares è veramente un valore aggiunto. Credo che il fatto che Fabiani lo abbia catturato quando era stato messo ai margini dall’Arsenal – quindi anche senza spendere cifre elevate – e lo stia valorizzando, sia un’operazione straordinaria. È una dimostrazione di come Dia e Tavares di come si possa andare a trovare e a scoprire giocatori di qualità senza spendere patrimoni, senza spendere milioni, senza spendere miliardi e avendo un rendimento sul campo molto alto”.

La Lazio è rimasta una delle poche squadre a non avere dirigenze straniere e nel tuo libro parli di “un calcio dove tra presidenti e tifosi un tempo c’era un patto sociale dove gli imprenditori rispettavano i loro tifosi e rispettavano la passione“. È ancora così la situazione secondo te?

“Premetto che rispetto la contestazione da parte dei tifosi laziali nei confronti del presidente Lotito. Nel senso che i tifosi hanno il diritto naturalmente di esprimere le proprie critiche. Quindi con grande rispetto nei confronti di chi ha manifestato e di chi ha protestato perché vuole una Lazio diversa, con tutto il rispetto nei confronti di tutti i laziali che si sono messi in gioco, io credo che bisogna però anche essere molto realisti. Penso che sia decisamente molto meglio avere proprietà che siano in qualche modo legate alla società che gestiscono, anche se non sono ricche come possono essere ricchi gli emiri arabi, piuttosto che gruppi e finanziatori stranieri ai quali della società, della sua storia,  dei successi sportivi interessa relativamente poco. Vengono qui ad investire per fare profitti ecco, io credo sia molto meglio avere presidenze che invece siano legate alla storia, alla tradizione, alla città nella quale la squadra gioca. Certamente una critica nei confronti del presidente la potrei sollevare. Vorrei che il presidente Lotito, che è stato davvero bravo nella gestione di tante versioni di Lazio da quando è diventato presidente, compresa quella che sta nascendo in questi giorni, vorrei che comprendesse il sentimento dei tifosi ecco, che fosse capace di maggiore empatia nei confronti degli appassionati della Lazio che comunque in 40 mila domenica erano presenti sugli spalti. Detto questo, sono molto scettico sui gruppi finanziari stranieri, anche perché ci sono due modi di vedere il calcio uno è quello prettamente industriale. Non possiamo negare che il calcio ormai sia un’industria, l’altro modo è quello prettamente sportivo, perché il calcio rimane uno sport. Ciò che è davvero importante nel calcio contemporaneo, è che si possono contemperare le due visioni e cioè che la visione industriale non perda mai di vista che tutto quello di cui parliamo è fondamentalmente sport e dunque passione passione per il calcio. Esso infatti non sarà mai un’industria come tutte le altre, perché il calcio produce passione non automobili, cioccolatini e caramelle: produce passione“.

Ecco…credo sia opportuno ricordare che la Lazio è innanzitutto una polisportiva, nel tuo libro hai parlato anche di Natali Shaheen, calciatrice palestinese. La Lazio che ruolo svolge secondo te per contribuire all’abbattimento delle barriere tra il calcio maschile e femminile? La nostra Lazio Women è una bella realtà che sta crescendo sempre di più…

tempo di saluti e di arrivi per

Lazio Women – Foto Twitter Lazio

Mi fa piacere che citi la polisportiva perché io credo che in pochi siano capaci di sottolineare il grande ruolo etico e sportivo che essa svolge. La Lazio è una delle più grandi, se non la più grande polisportiva europea e cioè una società che ha radicato da sempre, da quando è nata il 9 gennaio del 1900, la sua azione nella pratica sportiva di tutte le discipline. Abbattendo muri e barriere il grande lavoro che fa la polisportiva, il grande lavoro che fa la fondazione, viene spesso ignorato ed è un peccato. Perché è davvero un esempio straordinario di come lo sport possa agire in maniera concreta in maniera attiva sull’abbattimento delle differenze, sull’abbattimento delle barriere, sull’inclusione. La Lazio lo fa, la polisportiva lo fa, e a maggior ragione naturalmente il grande impegno che è stato profuso nel settore femminile e che sta portando notevolissimi risultati, perché la squadra che è nata quest’anno, che anch’io sono andato a vedere spesso, ha valori non soltanto tecnici ma anche morali, anche etici, dai quali il calcio maschile dovrebbe in qualche modo prendere ispirazione. La Lazio lo ha capito da molto tempo che il calcio femminile può rappresentare davvero qualcosa di importante per il futuro del calcio, non soltanto per la Lazio ma per tutto il calcio nel suo complesso“.

La Lazio poi è sempre impegnata anche contro la discriminazione razziale…

Il razzismo non può avere ospitalità in uno stadio. Il calcio è un’attività umana e come tutte le attività umane inevitabilmente assorbe tutto ciò che avviene nella società, quindi è impensabile, è davvero difficile immaginare che all’interno del campo di calcio, all’interno dello stadio non ci siano anche le influenze della società esterna. Però è anche vero che, proprio perché si parla di sport e perché siamo tutti coinvolti sul piano dei nostri sentimenti, non si può in nessun modo dare ospitalità a ciò che avviene di negativo all’esterno della società. Dallo stadio devono essere espulsi i fenomeni di violenza, i fenomeni di intransigenza, i fenomeni di razzismo, i fenomeni di discriminazione. Non ha alcun senso la discriminazione, non ha alcun senso soprattutto quando parliamo di sport“.

Ci vuole ben altro di una toppa con scritto RESPECT…

“Ci vuole un’evoluzione culturale. Io vedo le partite da abbonato nel settore dei Distinti Sud Est, devo dire che in quel settore dello stadio stiamo facendo tutti insieme un grande sforzo perché si possa vivere la partita senza tutte quelle devianze, che purtroppo in alcuni casi sono presenti in tutti gli stadi italiani. In quel settore si vive il calcio con le famiglie, con i bambini, io ho vicino a me dei bambini: ho una bambina di otto anni e un bambino ancora più piccolo davanti a me. Il nostro è un settore dove si vive lo sport, quasi come la vivevo io quando ero ragazzo e andavo allo stadio. Io credo che si possa contaminare gli stadi positivamente con i nostri singoli comportamenti che devono diventare, o tornare ad essere. soprattutto un luogo dove si va per vivere la passione con semplicità“.

A proposito di bambini, c’è una frase del libro che mi ha veramente colpito. Mi è rimasta impressa anche un po’ per il suo cinismo, devo essere sincero: “i bambini non giocano più a calcio sotto casa, non si ascoltano più le loro vocine stridule che disturbano le pennichelle degli adulti. Sono state sostituite dal frastuono dei motori, delle auto, autentiche dominatrici degli spazi cittadini. La loro invasione ha avuto pieno successo. Ci siamo arresi, quasi senza combattere.” A cosa ci siamo arresi, Riccardo?

“Ci siamo arresi al fatto che i bambini non giochino più, al fatto che i bambini non scendano più sotto casa col pallone sotto al braccio. Giocare a pallone sotto casa era un momento di grande socializzazione, di crescita e di educazione. Ci siamo arresi al fatto che i bambini siano chiusi dentro casa davanti a un computer, ci siamo arresi di fronte al fatto che i bambini siano prigionieri dei loro cellulari e ci siamo arresi di fronte al fatto che i bambini preferiscano una realtà virtuale rispetto ad una realtà vera, vissuta in mezzo alla strada. Il calcio giocato per strada era anche questo e ci siamo arresi al fatto che si possano leggere cartelli in cui c’è scritto ‘vietato a giocare a pallone’Una società che vieti ai bambini di giocare ha più di un problema! L’egoismo prevale sulla necessità di lasciare libertà di espressione ai bambini, soprattutto nell’espressione del gioco e ci siamo arresi anche al fatto che il calcio debba essere insegnato nelle scuole calcio e che non sia più invece una pratica spontanea fatta di fantasia, di creatività e di coraggio. Ha anche un riflesso negativo nell’abbassamento del valore tecnico del nostro calcio”.

Qualche giocatore che comincia dalle favelas ancora c’è, forse…

“Non succede in Italia, ovviamente. Il calcio italiano ha un debito di riconoscenza nei confronti delle parrocchie. Tutti i più grandi campioni sono nati in parrocchia, vedi RiveraBoninsegna, Mazzola, ma anche quelli più recenti come Baggio e Vialli. Vogliamo parlare di Giordano? Bruno ha una storia straordinaria, era un ragazzino che giocava sui sanpietrini a Trastevere e poi al Don Orione, finché non è stato scoperto dalla Lazio. Sai quanto ha speso la famiglia di Giordano (tra l’altro famiglia molto umile) per farlo giocare a calcio? Zero! Oggi servono come minimo 800 euro all’anno per far giocare un bambino: il calcio non può essere a pagamento. Questo è un errore strategico e culturale che esclude molte fasce di popolazione, poi tra l’altro non possiamo lamentarci se non abbiamo più talenti. Il talento prima nasceva giocando a pallone tra le macchine nei parcheggi…”

La Lazio di talenti ne ha molti, dove può arrivare la compagine biancoceleste in questo campionato? 

Io vivo il campionato entrando allo stadio con la voglia di godermi la mia Lazio, al di là del risultato. Certo, se vince godo per una settimana intera, ma mi piace vederla giocare così. Non so dove può arrivare, però ho la sensazione che, se continuasse come ha cominciato, potrà arrivare tre le prime 4 o forse 6. Penso che sia importante vivere la Lazio di adesso con empatia, senza porci troppi obiettivi e penso che Baroni la stia vivendo proprio così”. 

Cosa ti senti di dire ai tifosi laziali in questo momento? 

“Noi laziali siamo diversi da tutti gli altri. Noi laziali abbiamo qualcosa che nessun altro ha. La nostra è una passione fatta di sofferenze, di una lunghissima storia, ma anche di tante delusioni. Una storia che si rinnova ogni domenica perché la nostra maglia ha i colori del cielo e noi siamo legati a questa maglia per questa ragione. Noi siamo legati ai colori della Lazio perché sono unici e qualsiasi cosa faccia la nostra Lazio sarà sempre la più amata“. 

 

Potrebbe interessarti

Leave a Comment

Logo Laziolive.tv

©2023 Tutti i diritti riservati Lazio Live TV

Testata Giornalistica - Autorizzazione Tribunale di Roma n°85/2022 - Direttore Responsabile: Francesco Vergovich