un bacio al cielo

Storie di Lazio: quel Vicenza Lazio del 1972 in cui “non passò lo straniero…”

by Paolo Buchetti
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Storie di tifosi ai tempi della banda Maestrelli

Quella era l’Italia della “banda” di Maestrelli, quei “matti” che andavano su tutti i campi a imporre il proprio gioco. Allora, era una rarità. E si impartivano lezioni di calcio in luoghi dove allora, molto più di adesso, era fervente la discriminazione geografica e “etnico territoriale”, o presunta tale.

 

il tempo dei “terroni”  e dei “polentoni”

Adesso ci rido ma allora era una cosa seria ….

Forse per chi legge, soprattutto se un po’ più giovane, potrà sembrare tutto assurdo. Quelli erano i tempi, tanto per farvi capire, in cui gli italiani, nelle zone del Trentino Alto Adige, non venivano serviti ai ristoranti per la loro “nazionalità”, se si sedevano ai tavoli. Il sottoscritto ne è testimone e, da bambino, queste cose restano molto più impresse di quando sei un po’ più grandicello, quando le cose incominciano a scivolarti addosso e a dimenticarle in fretta. E badate bene; quella non era questione di “terroni” e “polentoni”, cosa strettamente “italiana”. Quella era una questione “etnico transnazionale”.

 

I fischi a Giorgio Chinaglia

Ebbene si; ricorrenti erano i fischi al nostro Chinaglia,  che ce li beccavamo in ogni stadio. Altro che social! Sembrava proprio che tutto il mondo del tifo calcistico si fosse coalizzato contro “il male” del calcio italiano.

Anche questi fischi sono stati metabolizzati ma non dimenticati dal bambino di allora, che lentamente si è trasformato in un guerriero a 360° …  che rispetta tutti ma che non si fida di nessuno, neanche dei gemellaggi…

Non c’era stadio di serie A o di serie B dove i fischi al nostro “grido di battaglia” mancavano.

Anzi, paradossalmente più erano piccoli gli stadi e più erano “incattiviti”, un po’ come i cani che più sono piccoli, e più scassano i “marmittoni”.

Ma insomma, questo era, e di trasferte al nord ne avevo viste tante perché ci ho vissuto per diversi anni.

 

I “veneti” e i “romani”

Già i veneti allora non potevano vedere i “romani” per vari motivi, ma bene, ok. Ricordo che allora non avevamo neanche il gemellaggio con i veronesi, anzi ogni volta era una battaglia pure da quelle parti. Ma questa è un’altra storia che ho vissuto sulla mia pelle e magari ne parleremo un’altra volta.

 

I “magnagatti”

Insomma, coi “magnagatti”, cioè i vicentini (adesso non ve la prendete e cerchiamo di buttarla sull’ironico se no st’articolo non me viene bene…)  non c’è mai stato buon feeling. Anzi c’era proprio “maretta”, visto che per loro la partita non si limitava a un semplice scontro di carattere sportivo, ma andava oltre.

Ci aspettavano sempre i cari “sportivi” vicentini. Ma fatto sta che in quegli anni, almeno sportivamente cascavano male. Infatti, li abbiamo bastonati sonoramente sul campo e loro, di “fase ciapà pei fondel a cà,  se rompea i maron ciò, ostrega”. Traduzione:  “farsi prendere in giro dai “romani” a casa loro, li faceva leggermente rosicare, ostrica…” (perdonate il mio “veneto”, abbiate pietà…)

 

Aria di rissa

Il gol di Nanni il primo tempo fu un suggello straordinario a un dominio assoluto. Al momentaneo pareggio dei locali ad inizio secondo tempo, si scatenò un putiferio. Ero in tribuna e  sono incominciati a volare gli insulti e gli improperi. Si era aperta la caccia al laziale, anche nella tribuna coperta dove dovrebbe “albergare la Vicenza Bene”. E invece no. Il clou avvenne quando qualche gruppetto di laziali sparsi in tribuna che “nun ce volevano stà” allo sfottò un po’ scomposto e un po’  “sgarbato”, rispondevano  per le rime. Verso la fine della partita, dopo il raddoppio di Chinaglia, ormai s’ era capito come era l’andazzo in campo; ma sugli spalti, la rissa era nell’aria.

 

L’epilogo

Alcuni “gentili signori vicentini” evidentemente di “origine nobile”, manifestavano un certo dissenso su come “buttava” la partita; visti gli epiteti che gli uscivano dalla bocca (non se capiva molto, ma da come li dicevano sembravano proprio insulti…) , sono stati presi di mira verbalmente dai “romanacci” anche un po’ sguaiati diciamo la verità.

All’ennesimo insulto e improperio in stretto dialetto vicentino, i lazialotti goliardici strillarono tra loro: “ahò,  ma come  parleno questi,  Austrieco?”  E lì si scatenò un parapiglia che si sedò quasi subito anche perché c’era pure qualche vicentino che s’ammazzava dalle risate, visto il “fine livello” dello scontro “etnico verbale”. E questo, forse, salvò un po’ la situazione. Poi però non so se hanno continuato a darsele fuori dello stadio ….

 

Finale

Magnagatti, pardon, Vicenza 1 Lazio 2 e tutti a casa. Come in quel giorno di ottobre del 1972, anche l’anno successivo finì con un secco 0 a 3 e con lo scudetto a fine stagione.

Il ricordo della amata banda capitanata da Maestrelli resta indelebile; e in quegli anni, grazie a loro, non passò nessuno  straniero, “austrieco”, o altro che fosse ….

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