Lazio: storia di un disastro annunciato
Lazio – Alla fine, la scelta che può dare una svolta al finale di stagione della Lazio è anche la più dolorosa. Maurizio Sarri ha detto addio in un pomeriggio di metà marzo, seduto sulle scalinate di Formello nel godersi l’ultima sigaretta prima di uscire per sempre da quel centro sportivo che è stato casa sua per quasi 3 anni. La sconfitta contro l’Udinese è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso pieno di crepe, saldate alla bene e meglio dal secondo posto ottenuto ‘miracolosamente’ lo scorso anno, ma rimarcate dai soliti problemi che di nuovo portano il conto, e a pagarlo, come sempre, è un popolo stufo del regime ‘totalitario’ che vige in casa Lazio da 20 anni a questa parte.
Lazio: dal “No” di Bielsa all’addio di Inzaghi
Eppure l’addio di Sarri era preventivabile. Il comandante, come gli altri prima di lui, si è fidato di chi doveva sostenere materialmente le sue idee, certo di avere carta bianca su un mercato mai davvero nelle sue mani, rimarcando continuamente la differenza di pensiero con la società riguardo alla programmazione: “Sul mercato ho chiesto A, sono arrivati C e D“.
Nemmeno i precedenti hanno scosso sul nascere il volere del comandante, andato avanti più per inerzia che per volontà. Ultimo prima di lui Simone Inzaghi, liberatosi dal vincolo del “L’ho scoperto io” dopo aver compiuto miracoli con quel che la società metteva a disposizione. Prima ancora il pacchiano voltafaccia di Marcelo Bielsa, vecchia volpe argentina che ha fiutato in anticipo le intenzioni di Lotito, strappando in mille pezzi un contratto firmato ed annunciato, ma mai rispettato.
Ora l’ennesimo fallimento, proprio nell’anno in cui si attendeva una risposta importante dopo la qualificazione in Champions League che ha portato guadagni importanti, ma non per la società. Il patron è dedito più che mai alla carriera in politica, lasciando la Lazio nell’oblio di un calcio dove tutto scorre a velocità triplicata, tranne che nelle stanze di Formello.