S.S. Lazio, quelli del 74: il canto dell’Uccellino fra le Aquile

Seconda parte

by Valentino Valentino
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Lazio: un Uccellino fra le aquile del ’74

Nella Lazio campione del ’74, una figura sempre poco valutata é quella di Pier Paolo Manservisi, detto “Uccellino”. Andiamo a svelarne carattere e doti da un racconto del figlio Simone.

Un giorno il figlio stava rovistando tra gli articoli di giornale e i cimeli calcistici del padre, quando si ritrovò tra le mani un grande libro che conteneva, al suo interno, un vinile. Si intitolava “Una Lazio per tutte le stagioni“. L’autore era il famoso giornalista Sandro Ciotti.

Estrasse il long playing e lo mise sul giradischi. Abbassò la puntina in un punto a caso. Dopo qualche istante capì che si trattava di una registrazione avvenuta a Tor di Quinto qualche giorno o settimana dopo la vittoria del campionato. Attese ancora qualche secondo, fino a quando la voce roca e inconfondibile di Sandro Ciotti esclamò: “Cerchiamo adesso di indagare lo stato d’animo di Pier Paolo Manservisi, l’unico volto triste in questo clima di felicità generale…

Dopodiché udì il padre rispondere, con un tono che doveva rispecchiare l’espressione del volto: “Sono felice che la Lazio abbia vinto lo scudetto e mi auguro che lo vinca anche il prossimo anno, solo che ho l’impressione di partecipare a una festa che non mi riguarda.”

Quelle parole lo colpirono molto, andando a depositarsi come un sasso sul fondo della sua liquida sensibilità. Era solo in quel momento. Il padre rientrò poco più tardi, sorprendendolo pensieroso davanti al giradischi.

Papà, perché eri triste?”, domandò una volta accortosi dell’ingresso del genitore.

Il padre si tolse la giacca e gli fece una carezza sulla testa: “Hai ascoltato il disco?”

Il figlio annuì timidamente e domandò: “Perché Sandro Ciotti ha detto che eri triste? Non eri felice di aver vinto lo scudetto?”

Un Uccellino fra i campioni della Lazio del ’74

Non molto, a dire la verità, ma non perché avevo giocato poco. D’Amico era più forte e giustamente ottenne la maglia da titolare, giocando molto più di me. La mia, più che tristezza, era delusione, per essere stato escluso.

Il giovane Simone, allora, domandò: “E perché eri stato escluso?

“È una storia lunga”, tagliò corto il padre. “Magari un giorno te la racconterò“.

Il ragazzo, allora, replicò: “Comunque non preoccuparti, ti prometto che mi allenerò tanto e da grande vincerò anch’io uno scudetto, così non sarai mai più triste.

Ma io non sono triste” disse il padre sorridendogli e dandogli un buffetto sulla guancia.

Quel giorno rimase impresso nella mente del figlio. Aveva fatto una promessa al padre e fece di tutto per mantenerla. Si allenava tutti i giorni con impegno e serietà. Quando non aveva allenamento con la squadra, dopo aver fatto i compiti di scuola, passava ore e ore nel giardino di casa a dribblare alberi e vasi di fiori. Chi passava nei dintorni poteva sentire la telecronaca di centinaia di future partite sognate.

Aveva un talento naturale e stava diventando sempre più bravo. Crebbe e andò a giocare nei Giovanissimi della Centese, la cui prima squadra militava in Serie C1.

Purtroppo, in un parallelismo beffardo con la storia del padre, negli Allievi della Centese gli capitò di finire in panchina. Anziché imparare l’importante lezione di vita e reagire, mettendoci più impegno per riconquistare il posto da titolare, si arrese alle prime difficoltà.

Così va la vita, scriveva dopo ogni decesso Kurt Vonnegut in quel capolavoro di libro che è “Mattatoio n. 5″. E in un certo senso un lutto da elaborare ci fu: il giovane calciatore promettente era morto.

Fine seconda parte.

(Fonte: Il Calcio Latino – Simone Manservisi)

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