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La Lazio e il Flaminio, il ricordo della storia, il dodicesimo in campo

by Paolo Buchetti
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La Lazio e la sua storia; quell’anno al Flaminio, una testimonianza di un ricordo indelebile

La Lazio giocò al Flaminio nella stagione 1989 – 90. Allora, erano in corso i lavori di ristrutturazione dell’Olimpico per i mondiali del 1990.

Fu quindi un caso che mi portò a calcare quello stadio, da abbonato di quel periodo.

 

Per un ragazzo di curva, passare dallo stadio Olimpico al Flaminio è stato un transito epocale, un incontro con un nuovo mondo, anzi, … antico. Inizialmente interpretato come un ridimensionamento, dovetti col tempo ricredermi.

Quel “passaggio epocale” lo  porterò sempre dentro di me come un ricordo indelebile.

 

La nostra curva

Spesso, ci dimentichiamo quale spinta genera la nostra curva. Era così anche allora. Quali effetti avrebbe avuto la sua “presenza” attaccata al prato verde di gioco su tutti i 25 in campo, compresi arbitro e guardalinee? Fu proprio lì che mi resi conto di quale forza “esplosiva” sia in grado di generare quel muro umano di passione.

 

Appena entri la prima volta…

… trovandoti a pochi metri dal campo di gioco, hai l’immediata percezione di una cosa mai provata prima all’Olimpico.  Ti rendi conto di poter essere protagonista della partita; hai la netta sensazione di poter incidere, di essere vera parte della contesa.

E’ una sensazione strana, nuova per chi ha calcato per anni gli spalti “freddi” e lontani dell’Olimpico. E quella sensazione ti resterà per sempre nella memoria.

 

Gli spalti e il tifo

Le  due curve erano entrambe gremite di tifosi biancocelesti e facevano ognuna eco all’altra,   trascinando le tribune. Spesso, i cori della curva, in sequenza, cominciavano quando ancora il resto dello stadio finiva di intonare quello precedente.

Non potevi non farti coinvolgere dall’onda travolgente della passione e del tifo. Che spettacolo, Sento ancora i brividi!

Gli spalti sono attaccati al campo. Per gli ospiti, anche battere un fallo laterale o un corner diventa un supplizio.

La curva è attaccata alla porta. Per il  portiere avversario e  i suoi compagni diventa impossibile.

Ho visto la preoccupazione sul loro viso.  Basta stare dietro la porta e guardarli bene in faccia sui calci piazzati. Fanno addirittura fatica a capirsi, a scambiarsi le istruzioni di gioco e di posizione. Gli leggi “addosso” la tensione e la … paura.

Il tifo è assordante, continuo, travolgente e mette le ali ai giocatori di casa.

Sei veramente il 12° in campo. L’avversario lo percepisce costantemente; quel 12° ti martella, ti intacca, ti sfinisce, ti logora.

I tifosi ospiti, relegati in uno spicchio di tribuna, sono inconsci spettatori della disfatta, avendo addosso il fiato dei loro avversari.

 

Fuori degli spogliatoi, nel corridoio che porta al campo

I giocatori ospiti al Flaminio non sono semplici avversari, ma inevitabili prede; e se ne rendono conto subito appena sentono,  in lontananza, l’onda d’urto dei cori del popolo laziale.

Man mano che i giocatori si avvicinano alla luce del campo in fondo al corridoio, già sentono il respiro della battaglia.

 

E poi …  il campo

All’ingresso, i giocatori entrano in un catino ribollente e si trovano i tifosi sopra  la testa e non di lato, perché le tribune sono sopraelevate. L’avversario comincia subito a comprendere che non sarà una semplice partita di calcio.

Si rende conto che non dovrà combattere solo contro 11 giocatori, ma contro un popolo, una mentalità, una cultura, e affrontare uno scontro acustico, psicologico, emotivo, che si trova all’ultimo scalino tra lo scontro verbale e il gradino successivo.

 

Quell’anno, ho visto il Napoli di Maradona sciogliersi come neve d’estate (Lazio Napoli 3 a 0 Amarildo, Pin, Amarildo) o l’Inter di Trapattoni soccombere per 2 a 1 (Sosa, Pin).  Anche la Juventus di mister Zoff strappò un pari, rischiando il peggio.

Eppure, quell’anno, la Lazio di Mister Materazzi era una buona squadra ma tutt’altro che irresistibile.

 

Il Flaminio però, è come quell’acquisto di un bomber o di un buon difensore che alla fine dell’anno, da solo, ti porta diversi punti in classifica.

Quelle mura poi, hanno il respiro della nostra storia, la corsa e il sudore dei nostri eroi del passato. Un posto sacro, che si trasforma in un luogo di battaglia e di amore, di grinta e di felicità, di sofferenza e tradizione, di sconfitte e di resurrezioni, di coraggio e di vittoria.

 

Questo è solo un racconto di una storia vera, per far comprendere a chi non c’era, cosa fosse esserci; e per regalare a chi c’era, un ricordo da condividere.

Questa è anche una testimonianza di cosa è stato e cosa può diventare il ritorno della Lazio nella sua “casa”, l’indimenticato e amato stadio Flaminio!

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