Non tutti si possono permettere la solitudine.
La solitudine, si sa, non tutti se la possono permettere. Non se la possono permettere i vecchi. Non se la possono permettere i malati. Non se la può permettere nemmeno il politico. Un politico solitario è un politico “fregato” di solito. Però, sostanzialmente, quando si può rimanere soli con se stessi, io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante. Il circostante non è fatto soltanto di nostri simili. Direi che è fatto di tutto l’universo, dalla foglia che spunta di notte in un campo fino alle stelle. E ci si riesce ad accordare meglio con questo circostante, si riesce a pensare meglio ai nostri problemi e, credo, addirittura, che si riescano a trovare delle migliori soluzioni. E, siccome, siamo simili ai nostri simili, credo che si possano trovare soluzioni anche per gli altri. Per quelli vicini e lontani.
Con questo, non voglio fare nessun panegirico né dell’anacoretismo e né del romitaggio, come diceva Fabrizio De Andrè. Non è che si debba fare gli eremiti o gli anacoreti. È che ho constatato, attraverso la mia esperienza di vita (una vita bella piena), che non dimostro di avere la mia età attraverso una carta di identità. Credo di averla vissuta.
Mi sono reso conto che un uomo solo non mi ha mai fatto paura. Invece, l’uomo organizzato, quello si, mi ha sempre fatto molta paura.
Scorrono immagini crude e dure dal circostante. Volti di amici scomparsi, familiari, luoghi e guerre si sovrappongono. Si deve fare qualcosa, anche scrivere di Lazio per non restare e farli restare soli può aiutare.
Poi bisogna agire.