Quando, 34 anni fa, la partita del Bentegodi terminò con un risultato di parità.
Oggi, andiamo a ricordare un Verona-Lazio vecchio di 34 anni e terminato con un risultato di parità. È domenica 2 aprile 1989 quando il buon Giuseppe Materazzi sta riuscendo nell’impresa di far approdare la neopromossa Lazio in acque sicure, procedendo a vista, partita dopo partita, nel corso di un campionato di Serie A.
C’è da affrontare un Verona non al meglio. I veneti, che solo cinque anni prima avevano clamorosamente vinto uno strameritato Scudetto, sono ormai alla fine di un ciclo. La proprietà ha dovuto cedere i pezzi migliori, soprattutto per fare fronte alle spese in cui primeggia, come ordine di importanza, la voce legata ai premi-partita. La formazione scaligera è ancora di ottimo livello ma ad Osvaldo Bagnoli manca Claudio Caniggia, forse l’elemento più talentuoso. Questo il Verona di quel giorno: Cervone, Berthold, Volpecina, Iachini, Pioli, Soldà, Bruni, Troglio, Galderisi, Bortolazzi e Pacione.
Materazzi risponde con Martina, Marino, Beruatto, Pin, Gregucci, Piscedda, Di Canio, Icardi, Muro, Greco e Ruben Sosa.
Già, dai primi minuti, sarà facile comprendere che tipo di partita è venuta a fare la Lazio in Veneto. Materazzi ha chiuso la sua formazione a riccio: tutti indietro a difendere! A cominciare da Pin e Icardi, fino al raffinato e fantasioso Ciro Muro, uno che dovrebbe stazionare dietro le punte, sentendosi libero di creare. Invece no, anche lui davanti ai difensori, come d’altronde gli stessi Greco e Sosa, arroccati due metri dietro la linea di centrocampo, pronti ad intervenire ad ogni accenno di affondo veronese. L’imperativo è semplice: distruggere il gioco avversario senza preoccuparsi di costruirne uno e portare a casa il punto. Perfino Paolo Di Canio gioca arretrato, una sorta di fluidificante alto. Sulla sua fascia c’è Volpecina: un gran bel duello.
Il Verona dopo cinque minuti è già padrone del gioco, tuttavia le azioni, seppur continue ed arrembanti, risultano sterili e ripetitive. L’ex Juventino Marco Pacione, molto temuto alla vigilia, è stato preso in consegna da Angelo Gregucci, che sembra decisamente in giornata. Ben supportato da Beruatto e Marino, Gregucci sovrasta il suo avversario diretto: di testa, infatti, il centravanti giallo-blu non ne prende una, sistematicamente anticipato dallo stopper biancoceleste. All’ennesima azione d’attacco, al 40’, Pacione riesce finalmente ad anticiparlo ma la sua deviazione, debole e centrale, viene agevolmente bloccata da Martina. Verso lo scadere, l’azione si ripete ed anche in quest’occasione, la testata di Pacione sembra più un passaggio al nostro portiere che una minaccia credibile.
Si rientra negli spogliatoi con un occhio alla classifica: la Lazio sarebbe salva.
34 anni fa, il risultato di parità era di vitale importanza.
34 anni fa il risultato di parità, al Bentegodi, era di vitale importanza. Il rientro in campo fu da brividi: il numero 10 del Verona, Mario Bortolazzi, cresciuto nel Milan di Gullit e Van Basten, mise subito paura alla Lazio. Ad avvio di ripresa gli riuscì un tiro davvero alla Van Basten, potentissimo e preciso, che colpì nel pieno la traversa, facendola oscillare per oltre un secondo. Un tempo infinito per i biancocelesti, coscienti che, in quel momento, prendere gol avrebbe significato perdere malamente la partita. Ed allora, tutti indietro, come prima, più di prima: questa la strategia che Materazzi, salvo che in rare e indimenticabili occasioni, adottata dalla prima partita di campionato.
Dopo vari tentativi degli avanti veronesi e di altrettanti validissimi interventi di Silvano Martina, Materazzi tenta la carta Dezotti. Sia lui che Rizzolo si sono riscaldati per qualche minuto. Antonio Rizzolo non ha ripetuto il bel campionato precedente, è stato il giocatore che di più ha accusato il cambio di allenatore. Era abituato alle attenzioni di Eugenio Fascetti, l’allenatore burbero-buono che lo aveva preso sotto la sua ala protettrice. Fascetti pretendeva tanto da tutti, ma sapeva aspettare i giovani come Rizzolo. Materazzi, invece, seguiva altre logiche, molto più aziendali: spazio agli attaccanti arrivati con la prima campagna acquisti “estera”, dopo anni di lacrime autarchiche e giovani in attesa.
Gustavo Abel Dezotti, un oriundo argentino simpatico e volenteroso, entra al posto dell’esaurito Pin; mancano una decina di minuti. Chissà, si potrebbe approfittare di un calo fisico del Verona. L’impatto di Dezotti, per quanto il giocatore sia molto volenteroso, risulterà del tutto ininfluente. Solo all’ultimo minuto, più che altro per far perdere un po’ di secondi, entra anche Rizzolo. Antonio, appena entrato, conquista il primo pallone giocabile, salta l’incredulo Stefano Pioli e conclude fuori di un soffio il tiro che poteva valere la vittoria.
La Lazio tornò a Roma contenta lo stesso. Quello era un campionato improntato sui piccoli passi, dove primaria era solo ed unicamente la salvezza sul campo.
La Lazio di oggi è vicecampione d’Italia. Disputa, tutto sommato, un campionato completamente diverso, dove partite “facili”, come quella di Verona, hanno un unico imperativo: vincere. Non aggiungiamo altro ed attendiamo gli esiti della partita.
(Fonte: Ugo Pericoli / Polisportiva Lazio)