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Pedro ripercorre la carriera: lunga intervista all’Equipe

by Roberto Mari
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Pedro: il grande campione biancoceleste intervistato dall’Equipe

Pedro – Lunga intervista rilasciata al giornale francese l’Equipe da parte del campione della Lazio Rodriguez Pedro. Ripercorriamo insieme le parole di Pedrito:

La passione per il calcio

“È più difficile alla mia età, ma ogni mattina, quando mi sveglio, la passione è ancora forte. Sono super motivato perché mi rende felice poter ancora fare ciò che amo nella vita. Ho voglia di allenarmi, di essere il migliore possibile. Sento la fiducia dei miei compagni, dei tifosi, del mister Marco Baroni, che è molto umile e vuole proporre un gioco attraente. In questo momento ci sono tanti francofoni, è bello! La rivalità con la Roma è difficile da descrivere: c’è più tensione rispetto a Barcellona e Real Madrid o tra Chelsea, Arsenal e Tottenham. Questo derby non è solo una questione di calcio. Quando entri all’Olimpico, c’è una forza che si sprigiona, l’atmosfera è intensa. Adoro la città, è meravigliosa, la gente è accogliente. È molto simile alla Spagna, per cultura, mentalità, clima… Mi sento come a casa a Roma.

Gli anni passano

Il tempo vola, sono un po’ vecchio ormai! È impensabile essere riuscito a durare così tanto, in club straordinari, vincendo così tanto. Non sono sazio, mi piacerebbe vincere un trofeo con la Lazio, sarebbe davvero importante per me. Sono arrivato a una fase diversa della mia carriera, ma mi sento in forma. Corro meno, ma ho esperienza: doso le energie. So quando scattare per segnare o restare in posizione: ho sempre avuto quell’istinto che mi guida nel momento giusto. Questa fiducia nel poter fare la differenza mi sostiene; se dovesse sparire, sarebbe la fine per me. Il calcio è cambiato: ci sono più partite, meno tempo per recuperare. Prima, il giorno dopo una gara potevo allenarmi, ora mi servono due-tre giorni per riprendermi. Mantengo le mie abitudini: mangiare bene, dormire bene per recuperare, ho una routine. Prima della partita, in hotel o al centro sportivo, cerco di rilassarmi il più possibile, è fondamentale a 37 anni. Gioco alla PlayStation, a FIFA (EA Sports FC); Call of Duty; guardo Netflix o la TV… Ora riesco a staccare molto di più. Da giovane pensavo sempre al calcio. All’inizio vuoi sfondare, resti ore ad allenarti. Ora sono più sereno.

Aiutare i giovani

Al Chelsea, con Frank Lampard, parlavamo spesso di come aiutare i giovani condividendo la mia esperienza. Ricordo i confronti frequenti con Fikayo Tomori, Tammy Abraham, Callum Hudson-Odoi… Quando sono arrivato alla Lazio, ho potuto continuare questo ruolo che adoro. Al Barça, ho avuto la fortuna di avere accanto Thierry Henry e altri veterani che facevano lo stesso. Anche Victor Valdes, Carles Puyol, Xavi, Andrés Iniesta mi hanno teso la mano. Mi dicevano che all’inizio è dura, ma poi passa. Ora tocca a me trasmettere, è il ciclo della vita. I giocatori mi ascoltano, sento il rispetto. Voglio guidare i più giovani o i nuovi arrivati. Quando ci sei passato, puoi aiutarli mettendoti nei loro panni, integrarli, presentarli ai compagni, parlare con gli allenatori… Sta andando molto bene. Mi affianco anche ai più esperti come Matias Vecino, Alessio Romagnoli, Nicolò Rovella e Mattia Zaccagni per mantenere questa coesione.

Le mie origini

Crescere su un’isola è qualcosa di unico: ho iniziato in una piccola squadra a Tenerife. Il percorso per arrivare al Barcellona era enorme: Josep Colomer, il direttore della Masia, mi notò durante un torneo e mi propose un provino. Non ci potevo credere, era surreale. A 15 anni partii da solo, senza punti di riferimento, senza famiglia né amici. La vita era totalmente diversa. Passare dall’ambiente tranquillo e rilassato della mia isola a Barcellona, una grande città piena di traffico, gente, con una nuova lingua (il catalano), nuove abitudini… È stato molto difficile adattarsi. I primi tempi furono complicati. È stato un momento cruciale della mia vita, ma avevo già un legame con il Barça. I miei idoli erano Rivaldo, Ronaldo, Romario, soprattutto brasiliani. Ricordo bene anche Luis Enrique e Pep Guardiola. A casa guardavamo le partite, tutti in famiglia sono appassionati!

Squadre impressionanti

Ogni anno la squadra era incredibile. Era una sfida entrare in quel gruppo. Ronaldinho, Eto’o, Henry… Avevano un’aura pazzesca: che fortuna aver giocato con loro. A volte è difficile essere te stesso e giocare con naturalezza, ma quelle grandi personalità mi hanno aiutato. Ricordo perfettamente il mio debutto (contro il Real Murcia, 4-0, il 12 gennaio 2008). Ho giocato uno o due minuti, ma è stata un’esperienza indimenticabile: sei nella squadra dei tuoi idoli! Ero un po’ nervoso, ma non spaventato… Pensavo sarei rimasto in panchina. Poi mi chiamano, mi riscaldo e sostituisco Eto’o. Non hai tempo per pensare: entri, i nervi ti spingono. Solo dopo il fischio finale realizzi tutto. L’anno dopo sono salito in prima squadra con Sergio Busquets. Era l’inizio dell’era Guardiola. L’equilibrio tra giovani e campioni era perfetto. Quegli anni sono stati indescrivibili, probabilmente il periodo più bello della storia del club. Il Mondiale per club 2009 mi ha segnato, ma se dovessi scegliere un solo momento, direi la seconda Champions League a Wembley (2011, 3-1 contro il Manchester United). Ero titolare, ho segnato il primo gol: avere un impatto così nel tuo club è fortissimo.

Giocavo un po’ meno al Barça, ma stavo ancora bene: a 29-30 anni volevo più minutaggio e vincere ancora. Il Chelsea era un’ottima opportunità per scoprire la Premier League, e giocavano bene. César Azpilicueta, Cesc Fabregas e Diego Costa mi avevano confermato che era il club giusto per me. E infatti ho prolungato quel periodo d’oro: ho vinto tre trofei in cinque anni. Non male! È il campionato più competitivo al mondo: più fisico, più spettacolare e con una passione incredibile da parte dei tifosi. Per un attaccante è esaltante, non ti fermi mai, ma anche La Liga è molto competitiva! Ci sono squadre con grande qualità nel possesso palla e nella costruzione. La Serie A è molto solida, forse più tattica e difensiva. È ideale per mettersi alla prova e crescere: ogni Paese mi ha dato nuove prospettive.

Persone incredibili

Pep Guardiola e Luis Enrique sono simili ma anche diversi. Il secondo ha idee vicine a quelle di Pep, basate sul possesso e la creatività, forse con un pizzico di fisicità in più. È tra i migliori, senza dubbio. Dal settore giovanile fino alla prima squadra, parlava con tutti. Voleva trasmettere la sua visione. Sono entrambi super competitivi. Devi giocare e correre senza sosta… José Mourinho ha come unico obiettivo la vittoria. Vicente Del Bosque e Guus Hiddink sono fantastici con i giocatori: sanno creare l’atmosfera giusta nello spogliatoio. Umana­mente, Maurizio Sarri è eccellente: parla tanto. Quando va male durante la partita, certo, è più difficile: per alcuni è complicato. Antonio Conte vive la sua passione al massimo: nei momenti duri cerca di trasmettere energia. Ho imparato da tutti, anche dalle esperienze negative. Se dovessi sceglierne uno solo, direi Guardiola: è il migliore sotto ogni aspetto. Mi piace vedere Cesc Fabregas e Xabi Alonso emergere con un approccio fresco.

Tanti trofei

In sei anni ho vinto venti trofei al Barça: è stato il periodo più bello della mia vita. Ovviamente, il Mondiale 2010 con la Spagna è stato grandioso. C’erano tanti giocatori del Barça in nazionale, è stato monumentale per noi, ma anche per tutto il calcio spagnolo. Forse non ci prendiamo abbastanza tempo per goderci a pieno quei momenti… Ripensarci mi riempie di gioia.

Quando vinci, è un misto di pressione e felicità. Sei al top, in una posizione di forza. È un periodo speciale che può non tornare più, vuoi allungarlo il più possibile. Sono molto orgoglioso di essere l’unico ad aver segnato in sei competizioni nello stesso anno (2009) e di aver vinto tutto (Mondiale, Europeo, Champions League, Europa League, Supercoppa europea, Mondiale per club). Non sono così mediatico come altri con cui ho giocato.: ho sempre avuto un atteggiamento distaccato verso la notorietà. È il mio carattere: riservato, silenzioso, tranquillo… Non sono molto sui social, preferisco restare me stesso: non ho mai voluto essere una star. Per quanto riguarda il mio futuro, sarebbe divertente tornare a giocare con Jordi Alba, Luis Suarez, Leo Messi e Sergio Busquets all’Inter Miami, ma gli Stati Uniti sono lontani. Ho visto che Baroni ha detto che potrei giocare altri quattro anni. Mi sembra complicato: ma uno o due, magari sì.” 

 

 

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