Erano più le volte che sedeva in panchina, rispetto a quelle che scendeva in campo. Dava l’aria del giocatore venuto a Roma in Erasmus.  Uno che sarebbe rimasto un paio di stagioni per poi ritornare in patria, oppure trasferirsi in un campionato di leghe minori. Ci sbagliavamo in tanti, forse tutti.

Quelle poche volte che giocava lo faceva da terzino, il classico terzino col numero 4: nulla di speciale sotto al sole, anzi. Era insicuro nei passaggi e spesso incappava in errori evitabili, che ne davano un’aura tutt’altro che positiva. E giù i fischi del pubblico. D’altronde se ne sarebbe andato, sarebbe stato lì di passaggio. Un goffo anatroccolo.

Nessuno, tra la gente biancoceleste, sapeva che il calciatore lottava contro un male oscuro: la depressione.

Poi, l’incontro con Maurizio Sarri: la rinascita dell’uomo e dell’atleta.

Pochi immaginavano di vederlo, dopo dieci anni, con la fascia da capitano al braccio ed essere uno dei titolari della nostra Lazio.

Il ragazzo biondo della Lazio é diventato “uomo-squadra”

Da terzino è diventato braccetto, da braccetto è diventato centrale di difesa. In questa sua scalata all’indietro, c’è tutta la sua crescita in avanti fatta in questi anni. Patric nel corso del tempo è diventato uno dei giocatori più affidabili del reparto arretrato biancoceleste. Da giovane ragazzino in vacanza a Roma, è diventato un uomo con radici forti, principi sani, valori veri: tanto lavoro e mai parole fuori posto. Ha ottenuto risultati incredibili. Il goffo anatroccolo si è trasformato in un bellissimo cigno!