La squadra del Paradiso si arricchisce di un Mito e di un grande Uomo.
Oggi, la squadra del Paradiso festeggia l’arrivo di un grande Campione come “Rombo di Tuono” che si unisce a Long John.
Oggi, lassù, si festeggia perché quando arriva un sano Campione e retto Uomo come Riva lo si accoglie con affetto ed amicizia. Nel giorno del compleanno di Giorgione, il team calcistico fra le nuvole si arricchisce del giocatore amato da tutti nel globo terrestre, nonostante i fischi vergognosi dell’altra sera nella finalissima di Supercoppa a Ryad.
Forse quei fischi di Ryad, durante il minuto di raccoglimento per Riva e Franz Beckenbauer spiegano meglio di ogni altra cosa la fine di uno sport come il Calcio. Rendono vivo, soprattutto, il fallimento di una classe dirigente cialtrona e senza scrupoli. Una classe dirigente, ahi noi, che ha svenduto la grandezza dei sogni, dei miti, delle gesta e della storia più bella dello Sport al business più bieco e spregiudicato.
Dalla Sardegna alla squadra del Paradiso: il mito di Riva.
Mi assale tanta tristezza e mi viene nostalgia a pensare a Gigi Riva che sceglie di restare in Sardegna, nel Cagliari, per tutta la carriera. Lui, un lombardo nato sulla riva del Lago Maggiore, il più grande attaccante dell’epoca e non solo di quella, che si innamora di una terra e di un popolo, che subito decide di contraccambiare quell’incredibile legame restando lì, rifiutando la Juve e le altre squadre del nord.
I sardi lo amavano, tutti i sardi. La gente dell’Isola ti ama se sei speciale, ti ama se li difendi e sai ribellarti.
I sardi, indomabili come pochi, amano le ribellioni, e a modo suo Riva fu un ribelle, un ribelle gentile. Si ribellò al destino che gli offriva palcoscenici e allori di altro spessore; si ribellò seguendo l’amore verso una Terra e non il successo.
È diventato leggenda per questo. Da dove scrivo lo abbiamo amato tutti perché segnava a raffica sì, ma anche perché ci insegnò che amare una maglia e rispettare un popolo sono i valori e i tratti distintivi di chi è campione dentro e fuori il campo di calcio. Che immane tristezza che ci è calata addosso lunedì sera, la percezione che tutto questo è finito e non c’è più.
Il Calcio é morto: ora esiste solo la squadra del Paradiso.
Mentre la squadra del Paradiso si rimpingua, i fischi di lunedì ci hanno spiegato che Italia-Germania 4 a 3, giocata in Messico, vista in bianco e nero in una TV a valvole, era allegria, amore, e mito. Si fondevano nello stile di Beckenbauer e nella potenza di Riva, ma lo abbiamo capito troppo tardi. Lo abbiamo capito lunedì sera.
Rombo di tuono se ne va e si porta via parte di noi, del “nostro” Calcio, dei nostri sogni. Da poco, a Cagliari, il carro con il suo corpo é transitato, per l’ultimo saluto, alla Basilica di Bonaria. In Paradiso, Chinaglia e gli altri immortali avranno modo di apprezzare chi sulla Terra non c’è più: un Mito, un grande Uomo, un difensore dei più deboli.
Chi lo ha fischiato, l’altra sera, si vergogni e vada all’Inferno!
(Fonte: il Laziale ottuagenario)